CONCLAMATA IMMUTABILITÀ

di Elena Gollini

La cultura scultorea di Gibo Perlotto è animata e alimentata da una tradizione millenaria e da una storia antica perpetrata da Canova fino alle magistrali lezioni impartite da Rodin, Giacometti e Moore e s’immette nella dialettica di una creatività altissima, che segna un ritorno alle radici ancestrali a cui appartiene per diritto di nascita e per necessità di vocazione, al di là delle evoluzioni e degli sviluppi formali. Infatti, la sua vocazione si rivela nell’attrazione per la bottega-laboratorio del padre autorevole maestro artigiano del ferro, dal quale ha appreso tutti i segreti della lavorazione manuale di questo metallo. Impara a cesellarlo plasticamente, con il fuoco e con il martello lo scolpisce e lo incide a caldo, dandogli “un’anima” e trasformandolo in scultura dina­mica, vivace e vitale. Le opere sono proiettate alla rivelazione sostanziale dell’essere, all’individuazione dell’es­senza dell’anima con un linguaggio metaforico e simbolico, che ne rende visibile e percepibile la presenza nelle forme strutturali del nascere e dei misteri della vita, attraverso la componente religiosa e sacrale di intensa suggestione. In un’epoca in cui l’uomo vive l’ansia frenetica del nuovo millennio quasi nell’inquietudine costante di una mutazione repentina dei processi avviati dalle tecnologie innovative, Perlotto riafferma i valori cardine primari dell’uomo, della cultura tradizionale e della civiltà arcaica, di cui la scultura si erge a “monumento e pilastro simbolo”, a testimonianza concreta e tangibile del ricordo indelebile della memoria collettiva perpetua.
Le creazioni nel dominio assoluto della materia ferrosa di cui è abile forgiatore e cesellatore, incarnano un’in­tensità spirituale sublime, che è portavoce della naturalezza e della semplicità dei sentimenti umani più sponta­nei, della gioia, della speranza, all’insegna dell’amore universale e della bellezza pura e incontaminata. Dimostra di possedere attitudini e qualità innate, ponendo al centro del suo lavoro il concetto di rivalutazione dell’uomo e della sua valenza intrinseca e costituendo un punto fermo della ricerca, per dare risposte e soluzioni chiare e solide, da poter condividere con l’osservatore. Schivo verso le mode e le ideologie di tendenza, che si basano esclusivamente sull’avanguardia delle nuove tecnologie, perdendo il controllo diretto del meccanismo di tra­sformazione della realtà circostante, dei fatti, delle azioni e delle informazioni ad essa correlati, si rivolge verso una sperimentazione, che recupera e approfondisce la certezza dei principi esistenziali fondamentali, che nel prodigio del ferro si propongono nel loro senso e significato invalicabile e indifferibile come costruzioni forti e consolidate. Le forme rievocate dall’interno si espandono, si dilatano e si distribuiscono all’esterno, imprimendo nella scultura una visione, che diventa immagine di “evento di natura” intesa come raffigurazione rievocativa della tensione emotiva scaturita dal fornire una spiegazione piena e completa del reale, che possa essere valida e comprensibile per ciascun fruitore, nell’ambito delle relazioni e dei comportamenti sociali, ma estendibili anche nel rapporto con il mondo animale e vegetale in modo totalitario.
In Perlotto si evince la forza vigorosa e la tempra energica dell’uomo “primordiale” l’uomo delle origini, che affronta gli elementi, li plasma e li trasforma nella “forma assoluta”, così come l’immaginazione modella sulla spinta dell’emozione. La ragion d’essere delle sculture risiede nella celebrazione della naturalezza e al contem­po nella contemplazione del bello e del culto per la bellezza, richiamando le concezioni perpetrate dal filosofo Socrate di “apprendere parole misteriose e semplici attorno all’amore, al desiderio insaziabile di ricongiungersi all’unità primaria, a ciò che abbiamo perduto con la perdita dell’anima”. E ancora si possono allineare le parole di Adriano Imperatore, che proclamava: “lo sono come i nostri scultori, l’umano mi appaga. Vi trovo tutto, persino l’eternità”. L’arte di Gibo Perlotto può essere iscritta in quella storia della cultura più ricca e intrisa di moto dell’anima e pathos emozionale, che riconferma la consistenza del pensiero artistico per l’uomo e la propria dimensione vitale. La carica da lui impressa rappresenta uno slancio propulsivo di abbandono incondizionato verso un linguaggio comunicativo non edulcorato ma reale che mette lo spettatore a stretto contatto con lo spazio sacrale della vita, fungendo da tramite tra il contingente e l’assoluto e veicolando una forma certa e ben definita, segno di ciò che non muta più e che è considerabile come modello di armonia e libertà nella sua conclamata immutabilità.