“POESIA DELLA MEMORIA CONTADINA”

di Bepi De Marzi

Non si può inventare la memoria oltre le cose irripetibili, consumate dalle fatiche, dai sogni, dalle trattenute felicità del nostro passato.
I gesti lievi della tenerezza hanno sempre modellato con ruvida forza la necessità della grande, inconsapevole poesia del mondo contadino.
Tutto è già stato fatto e detto: di cose e di pensieri.

Possiamo solo ritrovare la meraviglia dei ricordi, ora, qui, nell’incorruttibile amore del ferro modellato alla luce abbagliante del calore: alito dell’arte, soffio della fantasia, vibrazione della speranza.

Antichi legni con i segni del tempo raccolti nella forgia delle fusioni: la scala già rotta dalla dimenticanza e ora finalmente resa indistruttibile; il tabarro polveroso di fierezza con le pieghe dei dolori da nascondere nel silenzio; la sedia della spossatezza alla fine del giorno; le sgàlmare per il camminare rassegnato della miseria; la valigia con le lacrime degli emigranti; il cappello con i frutti appena rivelati dal sole; il miracolo delle uova dischiuse nel tepore dei fienili; il fiasco della consolazione e della solitudine; l’ombrello delle domeniche di pioggia e di neve sulle strade della chiesa; la monèga che scalda le confidenze e rassicura il primo sonno; la fionda inquieta dell’adolescenza; la scodella e il tagliapane per il caffelatte nelle ore estreme del giorno; il bigolo piegato al peso sempre incerto dei secchi; il libro delle storie ripetute e mai finite; la chitarra per un ballo mai saputo e un sospiro di malinconia…

Gibo Perlotto fa cantare al ferro le storie delle nostre anime impigrite.
E risveglia il sospiro della perduta commozione.